Suspiria (2019) | Recensione

Luca Guadagnino è un amante dei dettagli così come del cinema nelle sue molteplici sfaccettature. Non è un caso infatti che il suo perfezionismo lo abbia portato a confrontarsi col genere, per definizione, agli antipodi dall’intellettualismo visivo dietro al quale i critici altezzosi si nascondevano per denigrare invece gli emergenti Dario Argento o Ruggero Deodato di turno nei lontani anni settanta. Così ci si presenta Suspiria, una creatura polimorfa, un rimaneggiamento visivo e teorico di una pietra miliare dell’horror italiano ed internazionale.

mv5bmwfhodc4oditzjvkyi00ythllwjkodutmzcxmzcwngi5yjgxxkeyxkfqcgdeqxvymzu4odm5nw@@._v1_sx1777_cr0,0,1777,999_al_Procediamo per gradi. La magnetica madame Blanc di Tilda Swinton spiega alle danzatrici come prendere e far proprio un balletto vecchio di quasi trent’anni: rendendosi involucri vuoti e lasciando che la materia fluisca attraverso di esse. In questo tratto di dialogo quasi metatestuale il regista prende le distanze dall’opera originale e lascia libertà assoluta alla propria sensibilità: Suspiria è un film visivamente splendido e dalla regia raffinata, nella quale Guadagnino conferma la sua predilezione per la presenza materica dei corpi attoriali nel quadro complessivo. Da questo punto di vista, la poetica dell’autore viene esaltata dal preponderante motivo della danza che, oltre ad un assoluto valore estetico, porta con sé un sottotesto concettuale che trascina la pellicola verso il gusto alto borghese del suo creatore: il ballo è seducente, erotico, non bello in senso stretto, ma piuttosto macabro perché figlio di un errore, di una colpa. Il peccato della madre viene accostato a quello della nazione, la quale ha consumato i suoi cittadini ed il loro patriottismo, quindi la devozione per essa.

Infatti, dopo l’amore oltre l’etichetta della fama (A Bigger Splash) e l’amore oltre qualsivoglia distinzione (Chiamami col tuo nome), Guadagnino esplora l’amore oltre il male: quello che consuma l’anima e fa letteralmente a pezzi il corpo, capace solo di prendere per mantenersi in vita in uno stato decadente. Si torna quindi alla madre e alla nazione, la Germania divisa e il corpo flaccido e ridicolo dell’entità primeva, un male che ormai ha fatto il suo tempo e che, per essere rigenerato, va ucciso. In opposizione coesiste l’amore che dona la vita, il quale, indipendentemente dal che poi venga rinnegato o che, al contrario, doni la salvezza, anch’esso richiede il sacrificio della genitrice per finalmente raggiungere la consapevolezza di sé. D’altronde, il film è pieno di riferimenti espliciti alla psicanalisi. In quest’ottica d’insieme il male è una presenza destinata a mutare e ripresentarsi costantemente nel mondo, una predisposizione irrazionale ed innata dell’essere umano che, comunque, non gli preclude l’atto amoroso. Quindi una condizione inspiegabile all’uomo, che di fronte ad essa non nega la possibilità dell’esistenza della magia esoterica.

mv5botnlotzlodatnjvhzc00zda1lwe3nwutnzjlodhkzdnjmtcxxkeyxkfqcgdeqxvymzu4odm5nw@@._v1_Ma se cogliere tutti gli spunti di riflessione di Suspiria ad un certo punto risulta un esercizio fine a se stesso, anche a causa di una certa ambiguità dell’elemento intellettuale, va sicuramente sottolineato quanto l’autore sia stato in grado di creare un’atmosfera lugubre e stregonesca nella Berlino divisa, rimanendo fedele alla sua marcata impronta stilistica. Carrellate su immaginari piani cartesiani, zoom e alcuni passaggi di montaggio al limite di rottura della linearità temporale danno all’opera uno stile visivo europeo, apparentemente sobrio, maniacalmente dettagliato nella ricostruzione storica. Reale ed onirico si squadrano per poi danzare ed amalgamarsi in un delirio registico che va a riprendere la lezione di Luis Buñuel: i sensi dello spettatore vengono messi alla prova ed il subconscio viene scoperchiato perché il ricongiungimento con se stessi è come la danza: un atto artistico, irrazionale e sessuale.

 

VOTO: 9/10

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